Il Potere dei Media

di Gianni Losito

Si riapre il dibattito…

Il dibattito sul potere delle comunicazioni di massa si accende con toni aspri e polemici ogni volta che ci si trova in presenza di particolari tensioni politiche e sociali.

Ma il rischio di un dibattito troppo acceso e “passionale” è quello di dimenticare i risultati ottenuti dalla ricerca sociale e psicosociale nei suoi ormai ottant’anni di studi sull’argomento.

Gianni Losito pubblica il suo libro proprio in un momento in cui, imputata la televisione del reato di indurre effetti negativi e manipolatori sul pubblico, si ripropone una situazione analoga a quella di settanta anni fa, quando egemone tra i media era la radio e la concezione più diffusa sul potere dei media era fortemente orientata verso l’idea di onnipotenza. Si dava quella volta per scontata un’indifesa, passiva e generalizzata sottomissione del pubblico, considerato semplicemente come “massa”, cioè come aggregato di individui influenzabili e persuadibili fruitori solitari dei messaggi veicolati dai mass media.

L’autore

Gianni Losito è professore associato di Sociologia nella Facoltà di psicologia dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza”. nella sua attività di studio e di ricerca si è occupato prevalentemente di temi relativi alle comunicazioni di massa, rivolgendo particolare attenzione agli effetti sociali dei media e all’analisi del contenuto. Tra le pubblicazioni più recenti su questi temi: Definizione e tipologia degli effetti a lungo termine (1988), La ricerca sull’industria culturale (con altri autori, a cura di F. Rositi e M. Livolsi, 1988), Media e devianza (1989), Le rappresentazioni giornalistiche dell’Europa e del 1992 (con R. Porro, 1992).

Il libro

Il libro, proponendo un ponderato bilancio degli studi effettuati sull’argomento e offrendosi come guida per orientarsi all’interno di una dimensione tanto importante del mondo contemporaneo, ridimensiona notevolmente l’idea di una presunta onnipotenza dei media inserendone l’influenza all’interno di una molteplicità di fattori, sia individuali che sociali, che ne limitano il potere.

Se, e solo se, questi fattori vengono a mancare allora si può parlare di un’influenza diretta e potente dei media; se, e solo se, le istanze sociali e culturali di aggregazione, partecipazione e socializzazione non svolgono adeguatamente la loro funzione, se, e solo se, i media diventano per molti, soprattutto bambini e adolescenti, l’unica finestra sul mondo, gli unici maestri di vita, se, e solo se, viene a mancare il controllo democratico sul loro operato e sulla loro gestione allora si può parlare di una credibile ipotesi di onnipotenza dei media.

L’ottimistica opinione dell’autore è che la situazione descritta qui sopra non sia ancora paragonabile alla nostra attuale condizione, seppur caratterizzata da una grave crisi culturale, sociale, oltre che politica ed economica.

Tuttavia questa sua ottimistica conclusione, basata sugli studi e sul bilancio dei risultati della ricerca sociale e psicosociale che propone in questo libro nella prospettiva di rivalutare il pubblico con le sue caratteristiche individuali, culturali e sociali e con la sua potenziale autonomia nel rapporto con i media, non gli impedisce di prendere una posizione consapevole della responsabilità di questi e delle loro gravissime colpe nel proporsi, non solo come “scuola di violenza” e come strumento di propaganda politica urlata soprattutto, ma anche nell’asservimento alle routine produttive, nel favorire la crisi della professionalità, la caduta della qualità, nell’offesa, sempre più frequente, al buon senso e all’intelligenza del pubblico.

Nasce il villaggio globale

Una delle caratteristiche più rilevanti del ventesimo secolo è senz’altro l’avvento e la rapida e capillare diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, che hanno permesso la nascita di quello che negli anni sessanta McLuhan ha definito il “villaggio globale”, riferendosi a un mondo in cui, grazie ai media, tutti possono essere informati su tutto.

Come nelle società semplici le comunicazioni interpersonali garantivano la circolazione delle informazioni e la conoscenza delle cose e degli eventi, così nel villaggio globale i media , annullando, come dice Meyrovitz, l’esistenza dello spazio fisico, si fanno strumenti di una potentissima “sensorialità” coinvolgendoci in temi che possono riguardare qualsiasi parte del mondo e della società e a cui una volta non ci era permesso avvicinarsi, “non credevamo fossero affari nostri”.

Questo del villaggio globale è il risultato di un processo culminato con l’avvento e la rapida diffusione della televisione ma iniziato nel diciassettesimo secolo, quando i primi giornali hanno dato avvio alla…

Storia delle comunicazioni di massa

Destinata all’inizio solo a un pubblico ristretto di aristocratici e borghesi che sanno leggere è solo nell’ottocento che la stampa comincia ad acquisire la fisionomia di mezzo d’informazione modernamente inteso; ed è solo agli inizi del ventesimo secolo, grazie all’innalzamento del tenore di vita e alla progressiva riduzione dell’analfabetismo, che giornali e periodici tendono a divenire prodotti di consumo di massa.

Sempre agli inizi del ventesimo secolo si afferma anche il cinema e con esso nasce il divismo, il primo fenomeno di costume di massa provocato da un mezzo di comunicazione.

Ma è la radio ad imporsi in quegli anni come mezzo realmente popolare, quello che accompagna la vita di milioni di persone, che entra nell’intimità domestica, che può essere fruibile ovunque.

Per la televisione, che acquisterà l’eredità della radio tanto da essere definita all’inizio “una radio da guardare”, si dovrà attendere gli anni quaranta.

La storia più recente è storia di una diffusione sempre più capillare, di innovazioni tecnologiche, di un moltiplicarsi di emittenti e quindi di un’estensione e differenziazione dell’offerta televisiva.

Ma già nella prima metà del secolo emerge la consapevolezza che, con la loro diffusione, i media stanno assumendo un ruolo sempre più rilevante all’interno della struttura dell’intera società. Sorgono…

Le prime polemiche

Vi sono due posizioni contrapposte, una a favore e l’altra contro i mezzi di comunicazione di massa. La prima posizione vede i mass media come istanze democratiche e modernizzatrici che contribuiscono ad attenuare le barriere esistenti tra le diverse classi sociali, proponendo a tutti le stesse informazioni, gli stessi programmi culturali e di evasione, creando un’opinione pubblica più informata e consapevole e rafforzando la partecipazione sociale e politica e quindi la democrazia.

La seconda posizione vede invece i mezzi di comunicazione di massa come strumenti al servizio della logica dello sviluppo capitalistico, quindi come un’industria culturale che produce un prodotto destinato ad un pubblico che deve essere il più omogeneo possibile.

In questa visione i media sono una forza che tende a creare nel pubblico una predisposizione alla passività e alla manipolazione, funzionale al perpetuarsi dei rapporti di potere.

Siamo nella prima fase della storia della ricerca sui media, fase caratterizzata dalla convinzione della loro onnipotenza nei confronti di un pubblico passivo e quasi totalmente influenzabile.

Ma siamo anche in un momento storico in cui si vedono i vari regimi totalitari, in Germania, in Italia e in Unione Sovietica, fare un uso spregiudicato dei mezzi di comunicazione di massa per fini propagandistici ed ideologici.

Siamo quindi in un clima d’opinione in cui può prendere forma la teoria “dell’ago ipodermico” o teoria “ipodermica”, il cui assunto di base è più o meno il seguente: tramite i media si può “iniettare” un’influenza in maniera immediata, indolore e su chiunque.

In una prospettiva ispirata alla psicologia comportamentista di quegli anni, la teoria assimila il messaggio persuasivo ad uno “stimolo” che, se opportunamente predisposto, può indurre nel destinatario una “risposta” nella direzione voluta dalla fonte: la modificazione di un comportamento pro-sociale, elettorale, o d’acquisto.

I persuasori occulti

Ulteriori elementi a sostegno dell’ipotesi dell’onnipotenza dei media provengono dai campi della psicanalisi: facendo leva su motivazioni, desideri inconsci, bisogni latenti, e utilizzando processi di persuasione ispirati alla psicologia del profondo si possono indurre gli individui, senza che essi ne siano consapevoli, a cambiare un comportamento, specie, cosa che ispirò numerosi studi e che diede origine successivamente alla cosiddetta “ricerca motivazionale”, un comportamento d’acquisto.

Una tale ipotesi non poteva che sollevare delle proteste a tutela della libertà del consumatore, vittima indifesa delle nuove e penetranti tecniche di manipolazione e persuasione. Come manifesto della reazione alla “pubblicità del profondo” verrà pubblicato nel ’57 il famoso volume “I persuasori occulti” di Vance Packard.

Si spengono gli ardori

Le ricerche empiriche condotte negli anni ’40 e ’50 dalla communication research sugli effetti dei media mostrano come sia le speranze, sia i timori del periodo precedente sul potere di influenza e di persuasione dei mezzi di comunicazione di massa fossero infondati.

Sui risultati di queste ricerche, condotte prevalentemente da Lazarsfeld e collaboratori, si basa la cosiddetta teoria degli “effetti limitati” che va a sostituire la vecchia teoria ipodermica, ma che non vuole, in contrapposizione a quest’ultima, affermare la totale impotenza dei media, ma piuttosto sostenere che una loro eventuale influenza su ciascun membro del pubblico non è da ritenersi un’influenza diretta ma mediata da condizioni e fattori sia psicologici che sociali.

Questa teoria, che Losito preferisce chiamare “dell’influenza mediata”, non si concentra su tutti i possibili effetti dell’esposizione ai mezzi di comunicazione di massa, ma solo sull’influenza sui processi di formazione e mutamento delle singole opinioni, singoli atteggiamenti e singoli comportamenti individuali, cioè su quelli che sono stati definiti “effetti a breve termine”.

I risultati della ricerca mostrano che tra i tre possibili effetti dell’esposizione ai media, quello prevalentemente indotto è quello di rafforzamento delle opinioni, atteggiamenti e comportamenti preesistenti, meno frequentemente indotto è quello di conversione, mentre per quanto riguarda l’effetto di orientamento dipende di volta in volta dalla quota degli indecisi.

Questo perché, come già accennato, l’influenza viene mediata da due ordini di fattori:

Questa considerazione viene ulteriormente sviluppata come “ipotesi del flusso di comunicazione a due fasi” o…

Two-step flow of communication

Secondo questa teoria il flusso di comunicazione dai mass media al pubblico vedrebbe la mediazione dei cosiddetti leader d’opinione, cioè di persone che occupano una posizione strategica nella rete di comunicazione all’interno del gruppo o dei gruppi primari e che hanno quindi contatti più frequenti con i membri di questi gruppi.

Il flusso di comunicazione e l’eventuale influenza andrebbero quindi in una prima fase, dai mass media ai leader d’opinione e in una seconda fase da questi alle altre persone all’interno dei gruppi primari.

L’immagine generale che risulta da queste teorie degli effetti limitati è quella dei mezzi di comunicazione di massa come fonti di influenza tra le tante.

Powerful mass media

Nella seconda metà degli anni sessanta la sempre maggiore estensione, articolazione e diffusione delle comunicazioni di massa, la crisi progressiva della dimensione comunitaria con il conseguente indebolimento della funzione di mediazione svolta dai gruppi sociali e lo spostamento di interesse della sociologia delle comunicazioni di massa dalla ricerca sugli effetti a breve termine a quelli a lungo termine, crearono le condizioni per un recupero della nozione di powerful mass media.

La televisione, moltiplicando e differenziando le opportunità di consumo, guadagna un numero sempre crescente di spettatori che dedicano quote sempre più consistenti di tempo libero alla ricezione di programmi televisivi.

Contemporaneamente i mutamenti nella società andavano delineando un graduale venir meno della centralità dei rapporti interpersonali nei tradizionali gruppi primari.

La crisi della famiglia e della scuola e la disgregazione sociale che colpisce anche la struttura del gruppo dei pari, iniziano a creare una situazione di isolamento culturale nella quale vengono a cadere i meccanismi di mediazione e di filtro che il pubblico può opporre ai media.

Se nei decenni precedenti i media si presentavano come agenzie di socializzazione tra tante, ora, con il venir meno dell’influenza della famiglia, della scuola, del gruppo dei pari e di altre istituzioni sociali, emergono come le agenzie privilegiate e tra queste si impone la televisione.

I media come agenti di socializzazione

Per socializzazione si intende quel processo attraverso il quale ogni attore sociale apprende quanto è richiesto per vivere in una data società e in un determinato momento storico, dai modi di comunicare alle conoscenze, dai valori alle norme sociali, dagli atteggiamenti alle rappresentazioni sociali, dalle prerogative di status alle aspettative di ruolo, e così via…

Come è ormai evidente che i mezzi di comunicazione di massa svolgano anch’essi una funzione di socializzazione è altrettanto evidente che la loro influenza è tanto più rilevante quanto più deboli ed inefficaci sono le altre agenzie di socializzazione e quanto più povere sul piano cognitivo, culturale e psicologico sono le persone che ad esse si espongono.

Dire che i media sono agenzie di socializzazione significa anche affermare che i media propongono esplicite ed implicite immagini del reale, più o meno coerenti, che possono intervenire nei processi di formazione, consolidamento e mutamento delle rappresentazioni individuali e sociali e nei processi di costruzione sociale della realtà.

Si tratta dei cosiddetti “effetti a lungo termine” sui quali a partire dagli anni settanta si accentra l’interesse degli studiosi che ripropongono l’ipotesi dei media come fonti di effetti “forti”.

Agenda-setting

E’ una delle prime teorie che rivalutano il potere dei mezzi di comunicazione di massa e sostiene che esso risiede nel fatto che i media attirano l’attenzione del pubblico su temi, eventi, personaggi, determinandone l’importanza ed escludendo altri temi, eventi e personaggi che potrebbero potenzialmente avere la stessa obiettiva rilevanza.

In pratica, secondo questa teoria, il potere dei media non sta nel proporre e quindi influenzare le opinioni, ma nell’imporre i temi su cui avere un’opinione, nel decidere ciò che va al centro e ciò che va ai margini del villaggio globale.

Spirale del silenzio

E.Noelle Neumann, per sostenere il ritorno alla nozione di powerful mass media si basa su tre evenienze che caratterizzano il sistema delle comunicazioni di massa ed il suo operare:

  1. Ubiquità: la sempre più pervasiva presenza dei media, in particolare la televisione nella vita quotidiana del pubblico.
  2. Consonanza: l’accentrarsi della loro funzione di dispensatori di conoscenze e informazioni sostanzialmente omogenee su ciascun problema e su ciascun evento, trattati allo stesso modo nei diversi mezzi.
  3. Cumulazione: la ripetitività, la trattazione reiterata di determinati problemi, eventi, personaggi, collocati costantemente in primo piano e imposti all’attenzione del pubblico.

Questa autrice, nella formulazione della sua teoria, ribalta la premessa alla base dell’agenda-setting, secondo cui i media indicano su che cosa avere un’opinione e non quale opinione avere, sostenendo che i gruppi di potere possono, tramite i media, non solo esprimere le proprie opinioni, ma anche lasciar supporre al pubblico che queste stesse opinioni siano diffuse e condivise più di quanto non sia effettivamente, provocando l’illusione di isolamento sociali, se non addirittura di devianza in chi ha opinioni diverse che quindi rinunciano a far valere il proprio punto di vista.

Questo processo che la Noelle Neumann chiama spirale del silenzio sarebbe quindi una profezia che si autoavvera: le opinioni che, grazie ai media, sono considerate maggioritarie pur non essendolo, finiscono col diventarlo realmente.

La coltivazione

Riconducibile all’ipotesi dei powerful mass media è anche la teoria della coltivazione formulata da Gerbner, il quale si occupò esplicitamente degli effetti della televisione sui processi di costruzione sociale del sapere comune, degli stereotipi, dei pregiudizi, sulla base dell’ipotesi secondo cui il processo di trasmissione ed eventuale accettazione delle immagini della realtà che essa propone sia un processo di “coltivazione” a lungo termine, cumulativo e non intenzionale.

Gerbner sostiene innanzitutto che la televisione ha un ruolo centrale nella società americana e che, coltivando fin dall’infanzia predisposizioni e preferenze solitamente accettate dalle altre fonti primarie, costituisce la principale comune fonte di socializzazione e informazione per una popolazione altrimenti eterogenea, con un ambiente simbolico comune a tutti.

La sua funzione è eminentemente una funzione integrativa, di controllo sociale, di riproduzione del consenso, a tutela dello status quo e a garanzia dell’ordine sociale.

L’ipotesi che Gerbner vuole verificare è che i telespettatori più assidui, rispetto a quelli meno assidui, siano più portati a rappresentare la realtà sociale secondo modelli televisivi.

I risultati della ricerca sembrano confermare questa ipotesi, ad esempio i telespettatori assidui, più dei non assidui, valutarono la composizione della popolazione americana secondo l’immagine della popolazione televisiva, e sovrastimarono in misura rilevante la possibilità di essere coinvolti in episodi violenti nella vita reale (sviluppando per questo ansietà e paura).

Tuttavia i risultati di Gerbner potrebbero essere letti in modo diverso, non stabilendo un semplice nesso di tipo causale tra immagine televisiva ed immagine distorta della realtà.

Proprio come gli studi sui contenuti violenti nei programmi televisivi hanno fatto emergere sia la possibilità che essi provochino comportamenti aggressivi, sia la possibilità che possano essere invece i soggetti già predisposti ad assumere un tale tipo di comportamento a scegliere di esporsi a programmi con contenuti violenti, così anche i risultati di Gerbner si prestano a più interpretazioni.

E’ la fiction televisiva che induce a lungo termine concezioni televisive del mondo o sono i soggetti già predisposti alle immagini della realtà, agli stereotipi, ai pregiudizi che la fiction televisiva propone, che si espongono a questo genere di ricezione?

O si tratta di un rapporto circolare tra esposizione e predisposizione nel quale chi si espone viene influenzato e chi è già predisposto sceglie di esporsi?

Losito interpreta la questione in quest’ultima maniera ed attribuisce alla televisione un peso rilevante nel contribuire a determinare la concezione della realtà di certi segmenti di pubblico, senza per questo considerarla onnipotente.

Mass media e rappresentazioni sociali

Abbiamo visto come i media, proponendo immagini, concezioni, rappresentazioni del reale possano influire sui processi di costruzione sociale della realtà e sui processi in virtù dei quali ciascun membro del pubblico costruisce il proprio sapere sul mondo.

In sintesi: i media influiscono sulla costruzione delle rappresentazioni di ciascun individuo.

Una rappresentazione è paragonabile ad un modello che semplifica, interpreta e attribuisce un senso alla realtà e che quindi ha anche la funzione di orientare il comportamento individuale e collettivo, coinvolgendo ad un tempo la dimensione cognitiva, valoriale e normativa.

Questo concetto è assimilabile a quello di rappresentazione sociale spiegato Moscovici.

Una rappresentazione sociale, che non è soltanto una costellazione individuale di conoscenze, valori e modelli di comportamento, ma anche una realtà condivisa, un fatto sociale, frutto e condizione della comunicazione e delle interazioni sociali, si forma tramite due processi:

I media e l’offerta mediale costituiscono una componente di primaria importanza nei processi di oggettivazione e ancoraggio, in ragione dei quali si origina e si consolida una rappresentazione sociale.

Essi oltre a fornire informazioni nuove o riprodurre informazioni già disponibili relative all’oggetto di una rappresentazione sociale, sono in grado di influenzare l’organizzazione gerarchizzata degli elementi costitutivi delle rappresentazioni sociali e conseguentemente possono influenzare l’atteggiamento positivo o negativo nei confronti dell’oggetto della rappresentazione sociale.

In pratica, operando sulla scelta delle informazioni, sull’importanza di queste rispetto ad altre, veicolano anche un esplicito od implicito atteggiamento riguardo ad un oggetto sociale, influenzando quindi il comportamento del pubblico; comunicano immagini distorte della realtà che modificano quei modelli di comportamento che hanno la funzione di orientarsi nel mondo e nella società e che su quelle immagini della realtà si basano.

Questo processo è in genere intenzionale per quanto riguarda gli effetti a breve termine, mentre per quelli a lungo termine è solitamente involontario.

Il fare riferimento alle rappresentazioni sociali permette di comprendere non solo come agisce l’influenza dei media sull’individuo ma anche come questo possa opporre una resistenza al processo che si instaura, sia per i processi a breve sia per quelli a lungo termine, nel rapporto con i mezzi di comunicazione di massa.

Se ad esempio i media hanno il potere di fornire informazioni nuove su un oggetto di una rappresentazione sociale e hanno anche il potere di influire sulla gerarchia delle informazioni e di veicolare un atteggiamento positivo o negativo, è l’individuo che è ancora padrone dei processi di selezione, organizzazione ed elaborazione e che ha un bagaglio cognitivo, normativo e simbolico che preesiste all’esposizione ai media e che con questa interagisce e si confronta.

Da questa considerazione si approfondisce ulteriormente la consapevolezza dell’importanza delle componenti individuali, culturali e psicologiche del pubblico, collegate del resto alla struttura sociale dei gruppi primari nei quali ogni individuo si inserisce.

In particolare la componente psicologica degli spettatori emerse come rilevante negli studi sugli effetti dei contenuti violenti nei media e nella televisione.

A scuola di violenza

Anche se i risultati delle ricerche sia sperimentali sia empiriche non sono del tutto concordi emerse tuttavia la conclusione che gli effetti della televisione vanno rapportati alla personalità e all’esperienza sociale degli spettatori ( e dei piccoli spettatori ), con la possibilità di definire a “rischio” i soggetti che vivono in una condizione personale di disadattamento psicologico e sociale, i quali possono essere influenzati negativamente dagli effetti dei contenuti violenti della televisione.

In genere si preferisce, come già accennato, stabilire una connessione di tipo circolare tra rappresentazione della violenza dei media e aggressività: la violenza nei media può suscitare comportamenti aggressivi verso gli altri o verso se stessi in soggetti predisposti, che sono anche quelli che maggiormente si espongono a contenuti violenti.

La predisposizione soggettiva, quindi la condizione psicologica individuale, è fondamentale nel realizzarsi o meno di un’influenza da parte dei media.

Tuttavia tale predisposizione soggettiva è strettamente correlata alla situazione sociale, cioè al buon funzionamento dei gruppi primari di socializzazione, cioè famiglia, scuola, gruppo dei pari, etc…

Si comprende così, come il legame tra violenza rappresentata e aggressività viene con più frequenza accertato nelle culture divise dei ghetti, tra gli emarginati, tra le persone caratterialmente più fragili.

Considerazioni personali

Il fatto di essere particolarmente affascinato dal tema dell’influenza dei media e della televisione sulla personalità degli individui e quindi sulla società nel suo complesso, mi permette di manifestare la mia delusione sul lento progredire degli studi sull’argomanto.

Da quella volta che la Noelle Neumann sostenne la sua ipotesi di un ritorno alla concezione di powerful mass media, anche con efficaci metafore come “la goccia che corrode la roccia” o “la televisione accompagna il bambino in giro per il mondo prima che questo abbia il permesso di attraversare la strada da solo”, sono uscite diverse generazioni di tele dipendenti o di ex-teledipendenti, che, a mio avviso, dovrebbero essere l’oggetto privilegiato di un possibile studio sulla terroristica ipotesi che tale dipendenza adolescenziale e preadolescenziale non abbia semplicemente permesso una più o meno rilevante influenza da parte della televisione, ma abbia causato danni, forse psicologici, forse cronici, forse gravi ed in ogni caso abbia determinato una forma mentis collettiva e caratterisstica di questa generazione “televisiva”.

Affermare che il pubblico può opporre una naturale resistenza al bombardamento di messaggi da parte dei mezzi di comunicazione di massa significa, a mio avviso, sottostimare il problema, ponendo l’attenzione solo sul pubblico adulto, rassicurando le loro coscienze nel fruire di un “istituzionalmente innocuo” strumento d’evasione, e non considerare che esiste anche una consistente parte di pubblico privo di quelle difese culturali, psicologiche, a volte sociali.

Per comprendere come la televisione abbia svolto un ruolo fondamentale nella mia generazione basta osservare per esempio il rapporto che essa ha con i programmi fruiti un tempo ma ancora registrati nella memoria collettiva: i cartoni animati.

Quando i membri di un gruppo sociale appartenente alla mia generazione cade per caso, all’interno di una conversazione, sull’argomento “cartoni animati”, i cuori e gli entusiasmi si accendono, si cantano le sigle musicali e, nel rituale regressivo, si continua anche per ore…

Questo, secondo me, è un fenomeno non assimilabile a nessun altro accaduto in altre generazioni.

Il fatto è che una consistente porzione della mia generazione, in periodi più o meno lunghi dell’infanzia e dell’adolescenza ha fatto corrispondere il “palinsesto” del proprio tempo libero a quello dei canali televisivi.

Non sono in grado di quantificare l’importanza di ciascuna delle cause di una tale e comune condizione e non voglio generalizzare denunciando i “parcheggi” di bambini davanti alla televisione.

Posso solo rilevare per esempio una radicale tendenza al mutamento nella composizione della famiglia nel corso degli ultimi cinquant’anni: da famiglie con più figli a famiglie a figli unici, da un unico capofamiglia percettore di reddito ad entrambi i genitori che lavorano, da una certa stabilità familiare ad un aumento del numero delle separazioni e dei divorzi.

Una generale crisi delle tradizionali agenzie di socializzazione.

O forse la televisione ha saputo nel corso degli anni rendersi sempre più interessante, sempre più gratificante, rendendo noiose altre forme più tradizionali di evasione, se non addirittura di socializzazione?

Certamente questo è lo scopo della televisione commerciale: inchiodare quote sempre più consistenti di pubblico davanti allo schermo, alzare l’audience, aumentare gli introiti.

E’ uno scopo un po’ differente da quello delle altre agenzie tradizionali agenzie di socializzazione…

Un’altra carenza di questi studi è, secondo me, che essi si basano quasi esclusivamente sui contenuti e non su altri, forse più interessanti parametri.

Per esempio la fiction ha una struttura, che è quella del racconto: situazione iniziale di equilibrio, mutamento, instaurarsi di un nuovo equilibrio.

Quale può essere l’effetto della reiterata e quotidiana esposizione a una struttura di questo tipo che non appartiene normalmente all’esperienza di vita reale?

Oppure quale può essere l’effetto del reiterato e quotidiano immedesimarsi in un protagonista di fiction, film, serial o cartone animato che sia?

E del reiterato e quotidiano immedesimarsi in un protagonista inserito in una struttura “competitiva” nei confronti di uno o più antagonisti?

Oppure, più vicino al piano dei contenuti, ma sempre nell’ottica di un loro rapporto “strutturale”…

Qual è l’effetto del succedersi in un rotocalco d’informazione di un disastro ambientale, di una sfilata di moda, di una guerra in corso e dell’ultimo derby?

Perché il Tg5 è più impostato su notizie di cronaca nera, è più allarmista, macabro, “terrorista” degli altri telegiornali?

A mio avviso lo studio di queste “strutture” è più importante perché l’esposizione, la ricezione e l’influenza di queste sono più inconsapevoli di quelle che riguardano i contenuti.

Posso essere consapevole ad esempio del contenuto violento di un film e godere magari dell’effetto catartico, ma è difficile che io sia consapevole delle implicite strutture narrative che vengono veicolate e che comunicano pur sempre immagini della realtà.

Posso riceverne forse un’immagine della vita come di una lotta continua di solitari individui contro tutto e tutti per la propria affermazione personale?

C’è un rapporto tra l’emergere dell’individualismo e dell’egoismo ed il venir meno della sensazione di gruppo nella mia generazione e la sua passata o attuale ricezione televisiva?

New media and mass enterteinment

Forse studi di questo tipo potrebbero ispirare ipotesi di carattere predittivo sugli effetti dell’abuso di new media e di videogiochi da parte delle future ( e attuali ) generazioni.

L’uso del computer per accedere ad internet e l’uso di videogiochi stanno sostituendo la televisione nel “palinsesto” del tempo libero.

Sorgono spontanee due domande:

Quali sono gli effetti dell’abuso di uno dei modi di navigare in rete?

Quali sono gli effetti dell’abuso di videogiochi?

La seconda questione mi sembra la più preoccupante poiché lo sviluppo tecnologico ha portato i videogiochi ad essere sempre più realistici, simulando quell’”illusione di realtà” propria del cinema e della televisione.

All’illusione di realtà si accompagna il processo dell’immedesimazione, e a questi, una più elevata vulnerabilità ai possibili effetti.

Per quello che ho potuto notare personalmente, nel rapporto con un videogioco l’attenzione è focalizzata su ciò che deve fare all’interno di esso, mentre, nel frattempo, avvengono dei processi di comunicazione al di là della consapevolezza.

Ma che cosa viene comunicato?

Forse non contenuti, o non solo, ma qualcosa di simile a strutture, modelli, schemi mentali,…

Allora, analogamente al discorso che ho affrontato prima sulle strutture veicolate dalla televisione, quali possono essere le strutture che i videogiochi comunicano?

Ogni gioco presuppone un obiettivo e un rapporto di tipo competitivo o conflittuale con l’istanza o le istanze che si frappongono per qualche motivo tra chi gioca e il raggiungimento dell’obiettivo. Quindi l’effetto dei videogiochi, potenziato dall’illusione di realtà ( che fa perdere il contatto con la “realtà vera”) e dall’immedesimazione, sulla forma mentis di un individuo e quindi di una società sarebbe un ulteriore allontanamento dal polo “cooperazione” verso il polo “competizione” e quindi un estremizzarsi dell’individualismo?

Intendiamoci, il pericolo non sta nella struttura del gioco, ma nell’illusione di realtà, e quindi nell’implicita comunicazione non solo di distorte immagini della realtà, ma anche di schemi mentali, modelli di interpretazione del reale, rappresentazioni individuali e sociali e così via.

Conclusione

E allora?

Alla luce di tutti questi studi e alla luce delle più allarmistiche previsioni…

Che fare?

Proibire, vietare, limitare, censurare, controllare,…?

Niente di tutto questo…

Forse non sarebbe possibile, forse non sarebbe giusto, forse non sarebbe semplicemente efficace.

E allora, che fare?

Non rimane che tentare in qualche modo di rafforzare quelle agenzie tradizionali di socializzazione che fanno da mediazione nel rapporto con i media, non rimane che tentare di promuovere in qualche modo l’aggregazione sociale, non rimane che tentare in qualche modo di proporre i valori della cooperazione in alternativa a quelli dell’individualismo competitivo.

Non rimane che opporre od affiancare ai media un migliore funzionamento delle altre o di nuove agenzie di socializzazione affinché ogni individuo abbia la possibilità di costruirsi un proprio bagaglio culturale, cognitivo, simbolico, normativo, valoriale, all’interno di un complesso e forse più democratico sistema di fonti di influenza.


Lascia un commento

Compila qui sotto tutti i campi e clicca "Invia Commento"

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.


Ebook SEO (SEO per Scrittori sull'Orlo di una Crisi di Nervi)

La ricerca (sulle) parole chiave

1.3 La ricerca (sulle) parole chiave
E se ti dicessi che la ricerca sulle parole chiave è il succo del lavoro del SEO? Ammettiamolo: il web sarà...

Come si fa un'Analisi SEO di un Sito Web. Completa! E per principianti!

1.2.2 Site: e altre diagnosi
In questo capitolo una guida completa per principianti su come analizzare lo stato di salute di un sito web attraverso...

L'obiettivo di un sito web

1.1 Obiettivo sito
Iniziamo il nostro percorso pratico (leggi il capitolo precedente "Come si lavora (quando si fa SEO)") con la fase di...

...vai all'indice dell'ebook »

CV e Altre Storie

Web Writing

WikiImparare a comunicare nell'era di Internet: le proposte di alcuni corsi di scrittura on line
La mia Tesi di Laurea sul Web Writing è stata linkata su Wikipedia!


Certificato Google Analytics

Google Analytics Individual QualificationL'analisi dei dati delle Google Analytics fa parte delle operazioni necessarie per valutare e indirizzare qualsiasi strategia di marketing online.

Io Nomade Digitale

Nomadi.us: Nomadi DigitaliSeguimi anche su Nomadi.us dove - in collaborazione con Simona Camporesi - si parla di viaggi, nomadismo digitale e stili di vita alternativi.


Incredibile! C'è ancora roba qui sotto!