13) Pensiero ipertestuale e pensiero complesso

 

L’ipertestualtà sviluppa un tipo di pensiero complesso, reticolare, aperto, flessibile, capace di afferrare la complessità di “ciò che è collegato” fino ad arrivare a concepire un «etica della comprensione planetaria»

La caratteristica dell’ipertestualità è invece quella più suscettibile di investire la nostra rappresentazione della conoscenza e di modificare le nostre attività di elaborazione simbolica.

Sarebbe opportuno, per analizzare il fenomeno, partire da una definizione di “ipertesto”; tuttavia si riscontrano, in tali definizioni, il rischio di interpretazioni parziali e riduttive, poiché è loro caratteristica quella di concentrarsi su taluni aspetti, giudicati a seconda dei punti di vista, più rilevanti di altri, organizzandoli in una struttura lineare che porta inevitabilmente con sé, la gerarchizzazione dei diversi elementi.

La definizione di “ipertesto” invece, implicando diversi aspetti strutturali e contemplando la possibilità di molteplici punti di vista, si presta ad essere forse anch’essa ipertestuale. Diversa sarà infatti la descrizione se si affronterà l’ipertesto come tecnologia informatica, come pratica della scrittura o pratica della lettura, come genere testuale o come costrutto teorico.

Più utile e forse più obiettivo è invece proporre un elenco delle caratteristiche che costituiscono l’ipertesto, sottolineando il fatto che sono tutte ugualmente rilevanti ed inevitabilmente interconnesse. Bettetini rileva quattro caratteristiche fondamentali:

Partendo quindi da queste quattro caratteristiche e confrontandole con quelle dei media elettronici e dei media a stampa ne consegue, a livello cognitivo, che abbiamo altrettante innovazioni:

La possibilità di strutturarsi su collegamenti interattivi rende esplicita la «rete di rimandi impliciti (che hanno vita nella mente dello scrittore e del lettore)», presentando modi di procedere «sotto certi aspetti, più simili ai modi propri della mente» e consentendo «al soggetto lettore spazi di libertà del tutto nuovi», tramite la facoltà di «attualizzare una delle molteplici possibilità del testo virtuale».

Le conseguenze di queste dinamiche sembrano aggravare la crisi del pensiero “forte”, logico, analitico, deduttivo, lineare, sviluppatosi e alimentatosi, come si è visto, con la scrittura, e modificare quella nozione della conoscenza che ha accompagnato, secondo Ong, la parcellizzazione dei saperi a partire dalla diffusione della stampa.

Sembra invece che venga favorita un’attività cognitiva più simile alle modalità di un “pensiero complesso” che, emerso nella cultura contemporanea al di fuori delle riflessioni sulle tecnologie della comunicazione, pare che abbia, secondo diversi autori, notevoli analogie con le pratiche dell’ipertestualità e della multimedialità.

Le riflessioni di Edgar Morin sull’esigenza di un pensiero aperto e flessibile, capace di pensare la complessità del reale, nascono come critica alle metodologie di ricerca e di pensiero che sono, secondo l’autore, sia cause che conseguenza della parcellizzazione dei saperi, dell’isolamento delle discipline, della frammentazione delle conoscenze.

Poiché la nostra educazione ci ha insegnato a separare, compartimentare, isolare e non a legare le conoscenze, l’insieme di queste costituisce un puzzle inintelleggibile. Le interazioni, le retroazioni, i contesti, le complessità che si trovano nei no man’s land tra le discipline diventano invisibili. I grandi problemi umani scompaiono a vantaggio dei problemi tecnici particolari. L’incapacità di organizzare il sapere sparso e compartimentato porta all’atrofia della disposizione mentale naturale a contestualizzare e a globalizzare.

Per Morin è necessaria una riforma del pensiero capace di concepire il contesto, la globalità, la relazione tutto-parti, la multidimensionalità, la complessità: un pensiero policentrico e reticolare che procede per connessioni, associazioni, inferenze, in contrapposizione a quel pensiero disgiuntivo e riduttivo che porta ad una

«ipersemplificazione che rende ciechi alla complessità del reale»,

ad una iperspecializzazione che

avrebbe inoltre lacerato e spezzettato il tessuto complesso delle realtà, per dare a intendere che la segmentazione arbitraria operata sul reale fosse il reale stesso.

Si tratta di sostituire un pensiero che separa e che riduce con un pensiero che distingue e che collega. Non si tratta di abbandonare la conoscenza delle parti per la Conoscenza delle totalità, né l’analisi per la sintesi: si deve coniugarle.

Abbiamo bisogno, scrive inoltre, di

«pensare per costellazioni e correlazioni di concetti».

E’ evidente come molte di queste affermazioni possano trovare una naturale applicazione nell’ipertestualità, la quale, del resto, sembra aspirare, proprio per le sue caratteristiche strutturali, ad una apertura all’intervento di molteplici contributi e punti di vista, nella realizzazione di una rappresentazione della conoscenza che sia di tipo pluriprospettico e multidisciplinare.

Trovo che molte altre riflessioni di Morin potrebbero risultare decisamente utili per capire l’ipertestualità o potrebbero, se non altro, suggerire interessanti spunti per eventuali sperimentazioni: lo sguardo metacognitivo, ad esempio, che prende come oggetto di conoscenza la stessa conoscenza, sarebbe senza dubbio una prospettiva essenziale nella progettazione di un ipertesto che, per essere valido ed efficace, necessita di una organizzazione dei propri contenuti consapevole delle forme di conoscenza che, proprio attraverso tale organizzazione, vengono veicolate.

Si rileva qui, ad ogni modo, come le proprietà dell’ipertestualità e dei nuovi media possano favorire l’emergenza di un pensiero ipertestuale, multimediale, reticolare che si configuri come l’integrazione dei procedimenti lineari, propri della scrittura, con quelli circolari e associativi tipici dell’oralità e di certe modalità di pensiero, e che potrebbe esprimere, come nelle riflessioni di Morin, la tensione ad

«articolare ciò che è collegato e collegare ciò che è disgiunto»,

fino a concepire l’identità umana come una poli-identità, insieme unità umana e diversità umana, non separata dalle sue identità locali, etniche, religiose, nazionali ma anche planetarie, per approdare infine, orientandosi ideologicamente, all’ipotesi di una coscienza della connettività planetaria che è anche

«etica della comprensione planetaria».

note

1) Bettetini Gianfranco, Barbara Gasparini, Nicoletta Vittadini, Gli spazi dell’ipertesto, Milano, Bompiani, 1999 p. XIII.

2) Antonio Calvani, I nuovi media nella scuola. Perché, come, quando avvalersene, Roma, Carocci, 1999, p. 92.

3) Tra questi Calvani (I nuovi media nella scuola…, cit., p. 93) e in rete: Massimo Pomi, Il progetto “Multiverso”: una ricognizione degli orizzonti pedagogici, <http://www.irre.toscana.it/multiverso/pubblicazione_2002/ orizzonti_pomi.doc>, 15/03/2002; Roberto Maragliano, LTAonline,Diario di bordo aa’01-’02, <risorsa online non più dispoibile>.

4) Edgar Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2001, p. 43.

5) Edgar Morin, Introduzione al pensiero complesso, Milano, Sperling & Kupfer, 1993, p. 10.

6) Edgar Morin, Introduzione al pensiero complesso, cit., p. 7.

7) Edgar Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, cit., p. 46.

8) Edgar Morin, Introduzione al pensiero complesso, cit., p. 73.

9) Morin cit. in Marianna Barone, Morin, dalla verità alla verità, in “Gazzetta del Sud”, 6/3/2002.

10) «Infine un pensiero che interconnette si apre sul contesto dei contesti, il contesto planetario»; «un modo di pensare capace di interconnettere e di solidarizzare delle conoscenze separate è capace di prolungarsi in un’etica di comprensione e di solidarietà tra umani. Un pensiero capace di non rinchiudersi nel locale e nel particolare, ma capace di concepire gli insiemi, sarebbe adatto a favorire il senso della solidarietà e il senso della cittadinanza. La riforma del pensiero avrebbe dunque conseguenze esistenziali, etiche e civiche»; Edgar Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2000, pp. 20, 101.

11) Edgar Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, cit., p. 80.

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