9) Determinismo tecnologico


Le innovazioni tecnologiche hanno sempre portato a radicali mutamenti culturali, sociali, politici e religiosi… ma sempre sulla base delle pratiche che intorno alle nuove tecnologie si sviluppano.

Prima di discutere sulle implicazioni del cambio di paradigma che sembra realizzarsi con la diffusione dei nuovi media potrebbe essere utile riconsiderare in un’ottica alternativa la chiave di lettura che ha sostenuto il percorso fin qui condotto e che può essere ben rappresentata dalla seguente affermazione di Ong:

Il passaggio dalla oralità alla scrittura e da questa all’elaborazione elettronica comporta un mutamento nelle strutture sociali, economiche, politiche, religiose.

Confrontando infatti, nelle diverse epoche storiche, i mezzi di comunicazione utilizzati con i modi di produzione e di organizzazione sociale risulta immediato sostenere una tale interpretazione.

Intervalli Cronologici Mezzi di trasmissione Modi di produzione Organizzazione sociale
1.000.000 a.C.

90.000 a.C.
Gesti e rumori Caccia e raccolta Tribale
90.000 a.C.

40.000 a.C.
Transizione verso il linguaggio verbale Caccia e raccolta Tribale
40.000 a.C.

6.000 a.C.
Oralità Caccia e raccolta Tribale
6.000 a.C.

3.000 a.C.
Transizione verso la scrittura Agricoltura Cittadino – imperiale
3.000 a.C.

1.500 d.C.
Scrittura Agricoltura Cittadino – imperiale
1.500

1840
Stampa Agricoltura e artigianato Nazionale
1840

1994
Media elettrico/elettronici Industria e servizi Nazionale
1994

oggi
Rete Informazione Globale
Tratto da: Giulio Lughi

Altri studiosi, pur non negando la rilevanza del rapporto tra mezzi di comunicazione utilizzati ed altri settori della cultura e della società, evidenziano i possibili limiti di una metodologia di ricerca che rischia di proporre una chiave di lettura troppo riduttiva e assolutista, che sembra suggerire inevitabilmente un “determinismo monocausale“.

Bolter, ad esempio, nell’introduzione all’edizione aggiornata de Lo spazio dello scrivere, propone una visione più moderata, distaccandosi da una «retorica tuttora popolare della quale McLuhan, Ong e altri sono stati pionieri» nella quale riconosce di essere caduto anche lui nella prima edizione del suo saggio.

Senza rinnegare McLuhan e Ong ma distanziandosi da un certo determinismo tecnologico, Bolter precisa così il suo pensiero:

La scrittura non va concepita come un fattore tecnico che influenza e trasforma la prassi culturale dall’esterno; essa è sempre parte integrante della cultura. Probabilmente è meglio impostare il problema in questo modo: la tecnologia non determina la direzione in cui si muovono cultura e società, perché non è un agente esterno ad essi.

Ovvero ogni tecnologia della comunicazione si configura sì come un agente del cambiamento ma non opera in modo autonomo o contrario rispetto ad altri campi della cultura; si profila piuttosto un dialogo tra cultura e tecnologia strettamente connesso con le pratiche che intorno alle nuove tecnologie si sviluppano e che inizia ad avere effetti strutturanti solo nel momento in cui tali pratiche si diffondono nella società.

Il concetto di “ipertesto”, ad esempio, è precedente alla sua realizzazione concreta, mentre sia “la pratica ipertestuale” che la “lettura interattiva”, come hanno fatto notare diversi autori, sono rintracciabili nelle sottaciute o dichiarate relazioni che ogni testo instaura con gli altri testi e nelle relazioni che ogni lettore inferisce tra il testo e le sue conoscenze pregresse. L’ipertesto si configura quindi come la realizzazione ed il potenziamento, permessi dall’innovazione tecnologica, di una pratica cognitiva che si presume abbia da sempre (o quasi) accompagnato la scrittura e la lettura.

note

1) Walter J. Ong, Oralità e scrittura, Milano, Il Mulino, p. 21.

2) Giulio Lughi, Parole on line. Dall’ipertesto all’editoria multimediale, Milano, Angelo Guerrini e associati, 2001, p. 139.

3) Tra gli studiosi che nelle loro ricerche appuntano tale osservazione si rilevano Jack Goody (La logica della scrittura della scrittura e l’organizzazione della società, Torino, Einaudi, 1988), Michael Heim (Electric language: a philosophical study of word processing, Yale, Yale University Press, 1987) ed il successivamente citato Jay David Bolter (Lo spazio dello scrivere: Computer, ipertesto e la ri-mediazione della stampa, Milano, Vita e Pensiero, 2002).

4) Jay David Bolter, Lo spazio dello scrivere: Computer, ipertesto e la ri-mediazione della stampa, Milano, Vita e Pensiero, 2002, p.5.

5) Barbara Gasparini (Bettetini Gianfranco, Barbara Gasparini, Nicoletta Vittadini, Gli spazi dell’ipertesto, Milano, Bompiani, 1999) segnala tra gli altri: Roland Barthes (in S/Z, Torino, Einaudi, 1973, p. 10), che fa riferimento ad un “leggere sollevando la testa”, interrompendo la linearità del libro per seguire il percorso delle proprie sollecitazioni; Gérard Genette (Palimpsetes. La littérature au second degré, Paris, Seuil, 1982, p. 16), che nota, come costanti della letteratura, il fatto che «non ci sia opera letteraria che [.] non ne evochi un’altra» e che, per questo, «tutte le opere sono ipertestuali»; per poi concludere con Italo Calvino (Lezioni americane: Sei proposte per il prossimo millennio, Milano, Mondatori Editore, 1993, pp. 116-127), cogliendo il rapporto tra “vocazione del romanzo contemporaneo” e ipertestualità (di cui si discuterà in seguito).

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